domenica 1 dicembre 2013

Tu non sei i tuoi pensieri

Non esiste stato di ansia o depressione cronica che non sia dovuta al “chissà cosa penseranno gli altri”. Per la maggior parte di noi non si tratta, naturalmente, di una situazione di cui ci rendiamo conto. Questa preoccupazione per il giudizio degli altri ci è stata talmente tanto inculcata sin dalla nostra più tenera età – non solo dai nostri genitori, ma dall’intero sistema sociale – da essere diventata un automatismo psicologico inconscio.
Avete presente quel continuo ronzio di pensieri che non smette mai di accompagnarci per tutto il giorno? Ascoltateli per un momento con attenzione e vi accorgerete che quasi tutti questi pensieri sono preoccupazioni per non apparire agli occhi degli altri come degli “sfigati”. E questo perché siamo noi a giudicare costantemente gli altri. Se passiamo il tempo a giudicare gli altri, alla fine crederemo che anche gli altri passeranno le loro giornate a giudicare noi. E così la nostra mente, preoccupata del fatto che potremmo non essere accettati nella società, si attiva sempre più per trovare soluzioni a questo problema. Alla fine, visto che noi viviamo costantemente circondati da altre persone, la nostra mente diventerà una presenza costante, portando con essa un continuo stato di paura. Non solo. A lungo andare, dato che questo stato mentale è l’unica cosa che sentiamo costantemente presente in noi, finiamo con l’identificarci con esso. Ci convinciamo di essere quel continuo ronzio di pensieri che non smettono mai di frullare nella nostra testa, dalla mattina appena ci svegliamo fino al momento in cui ci addormentiamo. Ma non è così. Tu non sei quel continuo ronzio nella tua testa.
Riflettici un attimo. Quando avevi tre mesi di età, in te era presente questo famoso “ronzio mentale”? Naturalmente no. E quando avevi cinque anni? E quando ne avevi dieci? Ovviamente la risposta è anche in questo caso no. Però ricordi che era presente a sedici anni. Ma era lo stesso di quello che hai oggi? Molto probabilmente no. Allora quello di oggi è uguale a quello che avevi a vent’anni? Quasi certamente anche in questo caso la risposta è no, visto che è molto probabile che il “ronzio” di oggi non ha niente a che fare nemmeno con quello di ieri. Ergo, delle due l’una: o tu non sei quell’essere che ha vissuto tutte quelle età, oppure non sei quel “ronzio”, non sei la tua mente. Ma se non sei la tua mente, allora non sei nemmeno niente di ciò con cui la tua mente si identifica di volta in volta: non sei un dottore, non sei un impiegato, non sei un operaio, non sei un avvocato, non sei un dipendente, non sei un professore, non sei un automobilista, non sei un capo, non sei uno pieno di soldi, non sei un poveraccio, non sei il presidente, non sei uno sportivo, non sei un fumatore… Queste sono tutte cose che fai, ma non sono ciò che sei. Ovviamente è assolutamente normale fare queste e altre cose. Il problema sorge quando ti identifichi con esse.
Se mi identifico come “impiegato” allora tutto il resto della mia vita e tutte le mie azioni e pensieri ruoteranno intorno a questa immagine; e così sentirò sempre che mi manca qualcosa, provando una costante infelicità. Ecco perché quando poi cerchiamo di “staccare” facendo qualcosa di completamente diverso da quello che siamo abituati, quella felicità per il nuovo dura giusto un istante: poi ripiombiamo nella nostra infelicità. Abbiamo soltanto levato una maschera per indossarne un’altra, continuando a lasciare fuori chi siamo veramente. Gli antichi, come sempre, erano già a conoscenza di tutto ciò; non a caso chiamavano gli individui persone. “Persona”, infatti, è una parola latina che significa “maschera teatrale”. In pratica gli antichi erano perfettamente a conoscenza del fatto che la maggior parte della gente non è mai se stessa, ma piuttosto attori che recitano una parte indossando una maschera. Ora, fino a quando un attore è perfettamente cosciente del fatto che sta recitando soltanto una parte va tutto bene, ma se questo stesso attore si convince di essere veramente la parte che sta recitando e che addirittura la maschera che indossa è la sua vera faccia, secondo te quanto ci metterebbe a finire in un ospedale psichiatrico? Eppure è esattamente quello che fa la maggior parte di noi. L’unica differenza consiste nel fatto che, essendo una cosa che fanno tutti, ci siamo convinti che sia perfettamente normale. Ma non lo è. Ecco perché non siamo mai contenti, non siamo mai felici, non siamo mai in pace con noi stessi.
Ma se non siamo quello che facciamo, se non siamo quello che la nostra mente ci dice di essere, allora chi siamo veramente? Per poterlo capire esiste solo un modo: mettere a tacere la mente smettendo di giudicare tutto e tutti e iniziando a vivere il momento presente. È una cosa che all’inizio risulta difficilissimo fare: se ci siamo identificati per tutta la vita con i nostri pensieri, l’idea stessa di spegnere la mente suonerà come se ci stessimo dicendo che dobbiamo smettere di vivere. È una reazione assolutamente normale. Ma se superiamo questo momento, allora tutto ci sarà chiaro, e capiremo esattamente quello che, di volta in volta, dobbiamo fare senza “sbagliare” poiché, ritrovando noi stessi, ritroveremo l’armonia con tutto l’esistente. E saremo felici.

Avrai ritrovato te stesso quando ti scoprirai ad amare veramente in maniera incondizionata la vita, perché soltanto l’amore incondizionato – e quindi, di conseguenza, la scomparsa di ogni paura – è l’effetto dell’armonia ritrovata in se stessi e con ciò che ci circonda.

micheleputrino@email.it

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