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Il significato
che attribuiamo oggi alla parola “talento” deriva direttamente dalla Parabola dei Talenti descritta nei
Vangeli. In essa è narrata la storia di un uomo che, dovendo partire per un viaggio,
affida i suoi beni ai suoi servi: a uno consegna cinque talenti (unità di
misura dell’epoca), a un altro due e a un terzo uno, «a ciascuno secondo la sua
capacità». Al suo ritorno, i primi due avevano investito e quindi raddoppiato i
beni che gli erano stati affidati; l’ultimo, invece, aveva nascosto sotto terra
il proprio talento per paura che qualcosa potesse andare storto e subire così l’ira
del proprio padrone. Venuto a conoscenza dell'operato dei suoi servi, il padrone ammirò e premiò i due che avevano fatto fruttare i talenti, mentre tolse al servo timoroso
l’unico talento che gli era stato donato accusandolo di essere inutile e
cacciandolo via «nelle tenebre». La morale della parabola consiste nel fatto
che i talenti che ci sono stati
donati da Dio, dalla Natura, dall’Universo – o comunque vogliate chiamare il
Grande Ordine delle Cose – devono essere scoperti e utilizzati con coraggio,
poiché non farlo significherebbe venir meno al ruolo che ci è stato
assegnato.
Tutti noi
facciamo parte di un Grande Tutto, dove ogni cosa si muove in perfetta armonia
con tutto il resto. È sufficiente vedere un uccello volare per accorgersi che
ogni battito d’ali e ogni movimento sono in perfetta armonia con il mondo. E la stessa armonia è possibile vederla in un albero, in un pesce e
in qualsiasi essere vivente... compreso l'essere umano. Il problema è che,
per qualche strano motivo, lo abbiamo dimenticato e trascorriamo il nostro
tempo cercando di essere personaggi che qualcuno ci ha detto di interpretare o,
peggio, che ci siamo convinti di dover interpretare. E così facendo ci
allontaniamo sempre più da ciò che può renderci veramente felici, e cioè dalla
nostra vera natura. Gli antichi identificavano l’individuo che riusciva a
essere sé stesso e, quindi, a mettere in pratica i propri talenti, come “genio”.
Già perché la parola deriva dal latino e grossomodo significa “ciò con cui sei
naturalmente nato”; non a caso ha la stessa radice di “genuino”. E non è
nemmeno un caso che le persone vincenti, coloro che rientrano nell’élite del
loro campo di azione, quelli che agli occhi degli altri risultano “i migliori”, si concentrano solo ed esclusivamente sulle loro capacità, sui propri talenti. In genere, infatti, queste persone
sarebbero disposte a svolgere il proprio “lavoro” anche gratis! E di solito è
proprio quello che fanno all’inizio della loro carriera.
Se vogliamo
veramente imparare a “volare in alto” dobbiamo abbandonare le zavorre che gli
altri ci hanno legato addosso e iniziare a sviluppare quelle capacità che la
natura ci ha dato affinché la “missione” che ci è stata assegnata venga portata
a termine. In compenso, anche nei momenti più oscuri, ci sentiremo bene perché
percepiremo che stiamo percorrendo la giusta via, proprio come un sommergibilista
è del tutto sereno pur non vedendo mai l’esterno per mesi e con la coscienza di
trovarsi sotto tonnellate e tonnellate d’acqua, magari nel bel mezzo dell’oceano.
Seguendo i
nostri talenti di volta in volta scopriamo la strada che dobbiamo percorre e,
quindi, lo scopo della nostra vita. Scriveva il mistico persiano del XIV secolo
Hāfez: «Dato che non ci sono formule per realizzare la verità della via, ognuno
di noi deve correre il rischio dei suoi propri passi. Solo l’ignorante cerca di
imitare il comportamento degli altri. Gli uomini intelligenti non sprecano tempo
in quello; essi sviluppano le proprie abilità personali poiché sanno che non ci
sono due foglie uguali in una foresta». Ecco dunque il vero segreto della
felicità e del successo, nonché della comprensione del senso della propria
vita: essere sé stessi attraverso la
scoperta e la coltivazione dei propri talenti. Tutto il resto non è che
cenere e polvere...
micheleputrino@email.it
* Foto by geralt from Pixabay
micheleputrino@email.it
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