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Un costante
mormorio di parole, ragionamenti, preoccupazioni ci accompagnano in
continuazione in ogni istante. Siamo ovunque, tranne che qui. E più pensiamo e più la vita ci sembra un inferno; e più ci
sembra un inferno e più pensiamo... e così via, alimentando sempre più un
vortice che ci trascina sempre più in basso, fino a percepire la vita come
qualcosa di orrendo, come una terribile punizione per chissà quale oscura
colpa. Forse nessuno più di Giacomo Leopardi ha più di altri incarnato e
descritto questo modo di “vivere” così inconsciamente autodistruttivo. In un
aforisma postumo tratto dallo Zibaldone scrive: «La maggior parte degli uomini in ultima analisi
non ama e non brama di vivere se non per vivere. L'oggetto reale della vita è
la vita e lo strascinare con gran fatica su e giù per una medesima strada un
carro pesantissimo e voto». In queste parole si evince
chiaramente un’accusa al fatto che l’uomo comune desidera soltanto di “vivere
se non per vivere” e che la vita non ha un significato, “un perché”. In sostanza
Leopardi e, con lui, tutti coloro che “riflettono in continuazione”, per dire
che “la vita è degna di essere vissuta” vorrebbero una spiegazione lucida,
chiara e soprattutto logica e razionale del perché si vive. Ma visto che questa
naturalmente non può essere data da nessuno, allora considerano la vita come “un
carro vuoto”. Se il problema fosse solo questo, si potrebbe obiettare, dovrebbe
esistere soltanto uno stato di insoddisfazione in coloro che “pensano sempre”; ma allora
perché si soffre in maniera incredibilmente così acuta, tanto da sentirsi contorcere lo
stomaco nelle buie notti e non solo, per via del fatto che "non c'è un senso" (Vasco Rossi ha scritto stupende canzoni ispirandosi a questo tema)? Il motivo è il seguente: perché si è conviti che siamo quel continuo fiume di
parole nella nostra testa, quel continuo flusso di pensieri.
Il primo ad
affermare come “verità assoluta” che il nostro essere è il nostro pensiero
è stato, guarda caso, il padre del razionalismo moderno René Descartes, in
Italia più comunemente conosciuto come Cartesio. Infatti fu lui ad affermare la
celebre frase Cogito Ergo Sum, che
significa proprio “Penso Dunque Sono”. Ora, al di là delle discussioni su ciò che veramente volesse dire Cartesio con quella frase, sta di fatto
che l’uomo contemporaneo è del tutto convito di questa identificazione,
talmente convinto che se proviamo a chiederci “Ma io chi sono?” quasi tutti si
identificheranno con “la voce nella loro testa”, con il loro pensare, e sembrerà impossibile identificarsi con qualcos’altro. Anche quando la domanda
ci viene rivolta da qualcun altro, e cioè anche nei casi in cui ci viene
chiesto “Chi sei?”, noi in maniera del tutto naturale rispondiamo con un
concetto, e cioè con qualcosa di elaborato dal nostro pensiero: “sono un
avvocato”, “sono un medico”, “sono una giornalista”, “sono un cuoco”, eccetera;
in sostanza ci identifichiamo con un’attività che svolgiamo. Naturalmente ciò è
del tutto falso e fuorviante poiché, se fosse vero, allora nei momenti in cui non
svolgiamo l’attività con cui ci identifichiamo noi non dovremmo esistere! E
invece siamo anche “figli”, “padri”, “madri”, “automobilisti”, “corridori”, “amici”,
“nemici”, “amatori”... In sostanza “siamo” tutta una serie di concetti con cui
il nostro pensiero ci “etichetta” e, allo stesso tempo, non siamo soltanto una
di queste. E, incredibile, ogni volta che ci identifichiamo con un concetto
diverso ci sentiamo e agiamo in maniera diversa, eppure siamo sempre noi. Qualcuno potrebbe pensare di
identificarsi con il proprio corpo ma, com'è abbastanza evidente, anch’esso è
in costante cambiamento. Per riassumere: noi nella nostra vita, da quando
eravamo neonati fino a questo momento, abbiamo cambiato in continuazione
pensieri e modi di fare, nonché il nostro corpo; eppure siamo sempre noi! Ma allora, qual è questo minimo comune denominatore che accomuna
tutti i nostri cambiamenti facendo sì che “Io sono sempre Io”? Ecco la risposta: è la nostra Coscienza, la nostra Consapevolezza.
Il nostro vero essere è ciò che ci rende consapevoli.
Quando siamo consapevoli delle cose e degli eventi
che avvengono intorno a noi ci immergiamo nel presente, che nei fatti è l’unica realtà, l’unica cosa che veramente esiste. E quando ciò avviene il
continuo “vociferare” nella nostra mente si spegne e noi ci sentiamo bene e
siamo più efficienti perché siamo presenti in quello che stiamo facendo. Questo
stato gli orientali lo chiamano “illuminazione” giacché entriamo in perfetta
armonia con ciò che esiste. Ed è a quel punto che non sentiamo più nessuna
esigenza di spiegazione poiché sentiamo
che tutto è giusto e, soprattutto, sappiamo esattamente cosa dobbiamo fare istante dopo istante. Tutto si “illumina” appunto.
Continuiamo a
correre per cercare “un giorno” il piacere della vita, e non ci rendiamo conto
che, invece, quel giorno è Adesso.
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