martedì 22 settembre 2015

L’Amore per le Difficoltà

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Scrive Pietro Trabucchi nel suo ultimo libro Tecniche di resistenza interiore (Mondadori): «Noi siamo già al capolinea. La fine è adesso. E il non volerla vedere fa parte a pieno titolo dello spettacolo. La catastrofe consiste nel degrado delle capacità psicologiche e motivazionali che si sta compiendo nelle società più “avanzate”. Anzi, per essere più precisi, il disastro è prodotto dall’interazione di due ordini di fattori: una crisi globale molto più vasta e duratura di quanto si pensasse all’inizio e una difficoltà a reagire nei suoi confronti. [...] Quanto più le sfide sono difficili, tanto più dovrà essere salda la motivazione con cui le si affronta. Un grande impegno presuppone una forte capacità di speranza nel successo. E molto autocontrollo per rimanere focalizzati sugli obiettivi. Occorrono inoltre consapevolezza, capacità di adattamento e molta “pro attività”. [...] Purtroppo attorno a noi si registra un inarrestabile indebolimento delle forze mentali e motivazionali degli individui».

Per quanto impietose siano le parole di Trabucchi, un occhio attento alla realtà non può che costatare la loro veridicità. Il non riuscire più ad affrontare anche la più piccola difficoltà, lo spaventarsi alla prima ombra di minaccia, l’avere costantemente paura sembra siano diventate componenti primarie di noi uomini e donne della modernità. Eppure c’è stato un tempo in cui il coraggio, la capacità di non arrendersi, la voglia di rialzarsi a ogni caduta, di non dimostrarsi timorosi di fronte alle difficoltà e, se necessario, il soccombere a testa alta davanti a forze superiori alle nostre erano considerate tra le caratteristiche migliori della natura umana. Infatti, così continua Trabucchi: «[...] la capacità di non mollare, quella di tenere duro rimanendo motivati di fronte alle difficoltà. Lo spirito di sacrificio e la capacità inesausta di rialzarsi. E quella di riuscire a non smettere di sperare contro ogni evidenza. [...] Gli antichi chiamavano questa caratteristica “forza d’animo”, ed essa coincide per molti versi con una delle quattro virtù cardinali, la fortezza (Fortitudo)». Già, la fortezza. La domanda è: che fine ha fatto?
Parlare oggi di “forza d’animo” sembra sia diventato tabù perché, a quanto pare, si rischia di apparire come individui “duri e spietati” se lo si fa, mentre oggi, almeno a vedere ciò che circola per la maggiore sui social network, è dogma assoluto apparire come “dolci e zuccherosi” per poter rientrare nella categoria degli “umani”. Essenzialmente non si riescono a comprendere due cose quando si compie questa confusione: la prima è che una persona che ha “forza d’animo”, “coraggio”, “assenza di paura”, non è un essere “disumano dal cuore di pietra” ma, al contrario, in genere si tratta di una persona che ha una visione della vita che va al di là delle semplici cose contingenti, che sente la propria vita parte di un “flusso” che inevitabilmente si deve realizzare; la seconda è che, piaccia o meno, dolore, sofferenza e morte fanno parte integrante della vita e, chi non impara ad affrontarle, accettarle e integrarle nell’armonia degli accadimenti quotidiani, è fatalmente condannato a un perenne stato di ansia e di stress e, quindi, a vivere perennemente in un incubo dove soltanto momenti di intensa esaltazione – o la speranza di poter mettere fine in qualche modo alla propria vita – può per un istante alleviare la contorsione dello stomaco che sembra volersi divorare da sé.
Esiste una soluzione a tutto ciò o anche qui, come in migliaia di altri scritti d’innumerevoli autori, ci si limita a “denunciare” il problema senza dare una soluzione? Di soluzioni, in realtà, soprattutto in questi ultimi tempi, ne vengono date a centinaia ogni anno (basta vedere il numero di pubblicazioni di volumi self-help presenti negli scaffali delle librerie), ma tutte purtroppo, bene che vada, dal tratto prettamente tecnico-psicologico. Queste tecniche non risolvono la questione non perché sono inefficaci o non funzionati; il problema è un altro, e cioè che hanno una funzionalità limitata nel tempo. Quello che serve veramente oggi agli esseri umani è una “visione del mondo” che faccia comprendere e accettare il fatto che tutto il mondo è un continuo gioco di forze, che delle volte si alleano e altre volte si scontrano, e che noi siamo una di queste forze. Essere “una forza” in questo mondo significa lottare continuamente per affermarsi e spingere sempre più avanti verso la propria strada, cercando sul proprio cammino altre forze della nostra stessa natura per diventare, in un tutt’uno, una forza ancora più grande. Ma una forza sa che il mondo è un continuo flusso di forze, e questo significa che ce ne sono e sempre ce ne saranno di opposte alla nostra direzione e con cui ci ritroveremo a scontrarci, e forse a vincere, e forse a perdere... Ma in ogni caso, colui o colei che ha consapevolezza che così è la realtà, che questo è il “gioco” in cui si trova a “giocare”, sente che è sua necessità continuare a lottare con tutte le forze che ha in corpo perché egli è, per natura, una forza e, in quanto tale, non può fare a meno di continuare a spingere in avanti, non può fare a meno di cercare di crescere e affermarsi, non può fare a meno di essere.


"Siamo finiti su una lastra di ghiaccio dove manca l'attrito
e perciò le condizioni sono in un certo senso ideali, ma appunoto
per questo non possiamo muoverci. Vogliamo camminare;
dunque abbiamo bisogno dell'attrito.
Torniamo sul terreno scabro!"

Ludwig Josef Johann Wittgenstein

micheleputrino@email.it

*Foto by Hans (Pixabay)

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