Siamo cresciuti in
un’epoca un po’ strana, dove il rispetto per gli altri è stato confuso con il
“dovere” di apparire insicuri. Questo perché ci trasciniamo ancora dietro,
quantomeno a livello inconscio, il vecchio retaggio oligarchico che impone una
certa gerarchia sociale che obbliga coloro che vengono identificati come
appartenenti alle “classi inferiori” di mantenere un certo atteggiamento di
riverenza nei riguardi degli appartenenti alle “classi superiori”. Qualcuno
potrebbe obiettare che per fortuna l’era dei Re, marchesi e baroni è finita da
un bel po’. Certo, questa terminologia non viene più utilizzata seriamente da
molto tempo, ma si possono cambiare tranquillamente le etichette di un prodotto
lasciando il contenuto intatto. Ciò è vero soprattutto in Italia, dove i vecchi
titoli nobiliari sono stati sostituiti da qualifiche accademiche, politiche o di
ruolo come “Professore”, “Dottore”, “Onorevole”, “Presidente” e simili.
Naturalmente non c’è niente di male nel titolo di per sé. Diventa un problema
quando lo si sbandiera come uno status
symbol.
Nel momento stesso in cui accettiamo di identificare il nostro lavoro con un certo gradino sociale, allora non accettiamo solo di sentire altri “inferiori” a noi, ma di sentirci noi stessi “inferiori” agli altri. Come si può facilmente intuire, questi “status” non soltanto sono eticamente scorretti (è bene ricordare quella legge universale che dice “riceviamo sempre nella misura di ciò che diamo”), ma sono anche psicologicamente pesanti e limitanti per chi li attua. In pratica, accettando il gioco degli “status” limitiamo la nostra capacità di azione all’interno del ruolo che ci è stato assegnato o che addirittura ci siamo assegnati da soli. È pur vero che fino a non molto tempo fa seguire questo “sistema” era necessario per una questione di sopravvivenza. Ma oggi le cose sono cambiate.
Nel momento stesso in cui accettiamo di identificare il nostro lavoro con un certo gradino sociale, allora non accettiamo solo di sentire altri “inferiori” a noi, ma di sentirci noi stessi “inferiori” agli altri. Come si può facilmente intuire, questi “status” non soltanto sono eticamente scorretti (è bene ricordare quella legge universale che dice “riceviamo sempre nella misura di ciò che diamo”), ma sono anche psicologicamente pesanti e limitanti per chi li attua. In pratica, accettando il gioco degli “status” limitiamo la nostra capacità di azione all’interno del ruolo che ci è stato assegnato o che addirittura ci siamo assegnati da soli. È pur vero che fino a non molto tempo fa seguire questo “sistema” era necessario per una questione di sopravvivenza. Ma oggi le cose sono cambiate.
Stiamo
vivendo un’epoca in cui conta sempre di meno la semplice “posizione” che si
occupa e sempre di più la propria capacità
creativa e innovativa. Questo significa che oggi l’importanza di una persona è proporzionale alle sue capacità di
contribuire a migliorare la vita degli altri. Tale concetto diventa ancora
più interessante se illuminato da quest’altra affermazione: ognuno di noi possiede capacità uniche e fondamentali.
Tutti noi possediamo già delle capacità che altre persone possono ritenere di
fondamentale importanza. Il motivo è semplice: guardatevi intorno e scoprirete
che ogni cosa ha una funzione, un “ruolo” in questo mondo. Qualunque cosa, da
una semplice pietra a un albero secolare, ha un suo “perché”. Credete veramente
che giusto per voi sia stata fatta eccezione? Credete veramente che soltanto
voi siete venuti al mondo senza uno
scopo? Naturalmente voi uno scopo l’avete, anche se la vostra percezione
immediata vi dice il contrario. Infatti, bisogna stare sempre attenti nel
prendere per vero ciò che le nostre percezioni ci dicono; queste sono “convinte” che è il sole a ruotare intorno alla terra (e per miglia di anni è stato
creduto proprio questo!), ma sappiamo che la realtà è tutt’altra. Lo stesso
vale per il nostro vivere quotidiano: esso può apparire per noi senza alcun senso, ma se
impariamo a prestare molta attenzione scopriamo che è vero proprio il
contrario. Certo, il problema che sorge a questo punto è: “Ma se non so cosa
ascoltare, come faccio a prestare attenzione?”. In realtà un modo c’è, ed è
quello di seguire la via della crescita.
Non dobbiamo fissarci su qualche “sogno a occhi aperti” (questo ci condurrebbe
soltanto ad alienarci dalla realtà), bensì dobbiamo guardare alla nostra vita e
individuare ciò che in qualche modo ci spinge a crescere, a creare,
indipendentemente da quello che affermano i “ben pensanti”. Soltanto voi
sapete ciò che è giusto perché lo sentite, perché vi riempie di forza, di
energia, di voglia di fare, di creare qualcosa di sempre più grande, di sempre
più bello. Perché è quell’universale Forza
Vitale che vi spinge a mettere in pratica ciò per cui siete nati. Non
rifiutatela, non negatela, non abbiate paura di essa, perché questa Forza è la
linfa che porta nel mondo la vita.
Se
riuscirete a individuare e a seguire questa forza vitale, seguirete il “ruolo”
che vi è stato assegnato e vi sentirete veramente potenti, dove questa potenza
non avrà nulla a che fare con il concetto di “schiacciare il prossimo” che
tanti mostruosi danni e sofferenze ha provocato fino a oggi all’essere umano,
bensì la sua essenza deriverà dall'irrefrenabile voglia di creare, per
migliorare le cose e le persone che ci circondano. Questa è la vera direzione
verso cui bisogna andare; una direzione che istintivamente da bambini tutti
sentivamo e che ora è giunto il momento di ritrovare.
«Evitare
tutti i falsi legami,
avere il coraggio di essere quel che si è
e di amare ciò che è semplice e bello;
l’indipendenza
e le serene relazioni,
queste
sono le cose essenziali,
queste,
e il desiderio di essere utili a incrementare
di
qualche misura
il
benessere degli uomini»
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