La
maggior parte delle nostre azioni sono inconsce, cioè agiamo attraverso
“programmi mentali” che “ci siamo installati da soli” o che “ci sono stati
installati da altri” e che comunemente chiamiamo abitudini. Molte abitudini non solo sono sane ma sono anche
necessarie: sarebbe impossibile fare tutte le cose che facciamo ogni giorno –
come guidare, utilizzare il computer, giocare a tennis, ma anche solo parlare o
camminare – se dovessimo ogni volta pensare a ogni singola azione. Altre abitudini,
invece, sono insane (come il fumo ad esempio) e, in casi estremi,
autodistruttive (come l’abuso di alcol o di droghe). Non solo. Molte abitudini,
che di per sé
potrebbero risultare del tutto innocue, se lasciate agire in un
contesto sbagliato potrebbero comportare non pochi problemi (per fare un
esempio, quando si è abituati a reagire scappando di fronte a un pericolo, se
si cade in acqua e non si sa nuotate la situazione viene subito classificata
come “pericolo” dal nostro cervello e ne consegue che iniziamo ad agitarci in
maniera automatica per “scappar via”; quell’agitazione, ovviamente, ci fa
sprofondare più giù, quando invece basterebbe restare calmi per rimanere a
galla, magari nella famosa “posizione del morto”). Ma come si fa a
“programmare” le abitudini? In realtà non è niente di così “fantascientifico”;
infatti è qualcosa che avete fatto già molte volte in passato, anche se non ve
ne siete mai resi conto (altrimenti, riflettete, come potevate “prendere” delle
cattive abitudini?). Tutto passa attraverso ciò che comunichiamo a noi stessi e
agli altri, che può avvenire sia a livello verbale sia a livello non-verbale
(come il linguaggio del corpo ad esempio). Un software di un computer viene programmato
per mezzo di ciò che gli viene comunicato
dal programmatore attraverso un codice. La stessa cosa facciamo noi con la
nostra mente soltanto che, invece di usare il codice binario, utilizziamo le
lettere dell’alfabeto e le immagini, e invece dei programmi come Java o C++ (per chi non lo sapesse sono programmi che gli esperti usano per
creare software per i computer) si utilizzano le “visioni del mondo” e le
“convinzioni” (naturalmente ho semplificato all’inverosimile ma ciò che conta
in questo articolo, che è di taglio ovviamente divulgativo, è cogliere il
concetto).
Insomma,
se prendiamo coscienza di come “funzioniamo”, abbiamo finalmente la possibilità
di cambiare alcuni meccanismi che non ci piacciono e, allo stesso tempo,
migliorare e perfezionare quelle che invece riteniamo positive. E, come sempre,
nei prossimi articoli come poter ottenere tutto ciò giacché, come scrive Tom Hopkins
«Essere depressi è un’abitudine;
essere felici è un’abitudine; e la scelta spetta a te».
Michele Putrino
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